Italian Hand Carved Stone Sculptures Since 1903

L’arte dei “priari” rivive nei palazzi storici

Articolo di Antonella Fadda pubblicato su "IL GIORNALE DI VICENZA" del 9 Luglio 2017.

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I più bei palazzi vicentini hanno il “cuore” castellano. Fatto della pietra che veniva estratta a Montecchio Maggiore e che per secoli venne utilizzata, per la sua grana particolare, nei palazzi più prestigiosi come villa Cordellina, la Basilica Palladiana o il palazzo municipale di Vicenza. Ad estrarla, dalle cave delle colline a nord della città, per secoli ci hanno pensato i “priari” cioè i cavatori e gli scalpellini, che col loro lavoro hanno prodotto le pietre utilizzate non solo per edifici celebri ma anche per le case. Un lavoro che richiedeva sacrificio e maestria, sensibilità alla pietra e capacità. Un mestiere che i padri trasmettevano ai figli e che oggi è in parte dimenticato.

A fare un tuffo nel passato ci ha pensato la Proloco Alte Montecchio che ha organizzato una mostra e uno spettacolo nel luogo dove veniva estratta questa “pria”, nelle grotte Priare sotto il castello di Giulietta. Come spiega lo storico castellano Luciano Chilese, tuttavia, queste grotte artificiali non erano le uniche presenti sul territorio. «C’era la Proara di Sant'Urbano attiva dal 1540, quella di Valbona dal 1632, quella che veniva chiamata “in ora Castellis” cioè nella bocca del castello utilizzata dal 1553, le Priare del Monte Nero e dal 1664 quelle al Covolo di SS. Trinità. E anche la “Petrara Foccaggia” dietro la chiesa di San Pietro che produceva la pietra nera, che serviva per focolari, fornelli e bocche di forni».

Racconta il prof. Chilese: «Le prime testimonianze dei priari si hanno per la costruzione del palazzo Gualdo di Carlo V, oggi andato perduto. E addirittura si potrebbe andare ancora più indietro nel castello Bella Guardia o di Giulietta. Da allora ci furono intere generazioni di castellani che lavorarono all’interno delle diverse priare. Fin dopo la seconda guerra mondiale quando l’estrazione delle pietre venne soppiantata dal cemento. Uno degli ultimi esempi di utilizzo è la scalinata della chiesetta degli Alpini».

Lo “spezzaprede” era un lavoro dove i segreti della maestria di lavorazione erano ben custoditi. Anche le tecniche di stacco erano molto precise: il blocco veniva estratto dall’alto. Dopo aver scelto le misure, i priari si posizionavano alle due estremità del masso. Poi venivano inseriti dei cunei e con precisione venivano battuti in modo tale che il blocco si staccasse e non si rompesse. Una volta “cavato” veniva lasciato per un intero inverno all’esterno delle priare dove “stagionava”; cioè veniva lasciato alle intemperie in modo tale che dimostrasse la sua qualità. Solo allora si procedeva al trasporto per trasferire il masso nei cantieri con dei carri. «E anche in questo caso c’erano degli operai specializzati – afferma lo studioso -. C’era chi si occupava di calibrare perfettamente il carico in modo tale che il peso non provocasse problemi durante il viaggio, chi trasportava e chi, nei cantieri, aveva il compito di scolpire la pietra».

Le pietre bianche come quelle delle cave dei Castelli venivano utilizzate per realizzare scalinate, colonne, finestre, soglie di porte, ma non era adatta per lavorazioni come statue e vasi. Tutte le pietre degli edifici storici di Montecchio - la Cordellina, il campanile di San Pietro - provengono dalle cave locali. Ma non solo. A Vicenza, nel 1620, veniva annotato che il ponte di S. Michele doveva essere di pietra castellana e persino per l'edificio più prestigioso di Vicenza, il Palazzo della Ragione, detto la Basilica, nel 1815, si ricorrerà alla pietra di Montecchio per due pilastri alti oltre 3 metri.

Antonella Fadda

 

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